San Tommaso evangelizzò un vasto territorio dalla Siria (ancora oggi un’antichissima porta della città di Damasco porta il suo nome, cioè Bab Touma)) fino all’India, dove fu martirizzato a Mylapore, vicino Madras, nella parte sud-orientale, intorno al 72 d.C. ricevendovi una prima sepoltura. Da lì il suo corpo fu trasferito ad Edessa, città corrispondente all’odierna Sanliurfa nella Turchia meridionale, verso il 230, all’epoca dell’imperatore romano Severo Alessandro, come si legge in alcune versioni degli Atti di Tommaso. Le sue reliquie rimasero in quella città per oltre otto secoli e furono molto venerate. Tra il 1144 ed il 1146, caduta la città sotto i Turchi, esse vennero allontanate fino a giungere sull’isola greca di Chios, dove furono trafugate, il 10 agosto 1258, da Leone, comandante di tre galee ortonesi che facevano parte di una spedizione militare nel Mar Egeo voluta da Manfredi, figlio dell’imperatore Federico II di Svevia, e guidata dall’ammiraglio Filippo Chinard. Il 6 settembre 1258 Leone giunse ad Ortona con la lapide tombale ed il corpo del Santo, che fu subito oggetto di intensa devozione.
PER APPROFONDIRE
La tradizione assegna a san Tommaso l’evangelizzazione dell’India, nome con cui dobbiamo intendere un territorio comprendente terre al limite orientale dell’impero romano e oltre esso. Origene, ripreso, poi da Eusebio di Cesarea (Hist.Eccl., 3,1) sosteneva che il Santo avesse evangelizzato la Siria e la Persia. Varie le testimonianze esistenti sulla predicazione dell’Apostolo, come in Siria nella Bab Touma di Damasco, nel monastero di Deir Mar Touma (risalente al V secolo) e nei resti della città di Merv nel Turkmenistan.
L’Apostolo evangelizzò, poi, numerosi altri territori più ad oriente (studi recenti ipotizzano che sia giunto perfino in Cina) e subì il martirio verso il 72 d.C. a Mylapour, vicino Madras. Lì ebbe una prima tomba, i cui resti sono stati datati dagli archeologi proprio al I secolo.
Numerosi autori e viaggiatori parlano di san Tommaso quale Apostolo dell’India. Del martirio e della sepoltura trattano alcune versioni, sia in greco sia in latino, degli Acta Thomae, dove si dice che il corpo in un secondo momento fu preso e portato in Mesopotamia, ad Edessa.
La città anticamente fu centro di grande sviluppo del Cristianesimo, e le reliquie del Santo vi rimasero per oltre otto secoli come riferiscono varie fonti di ambito storico-civile (Chronicon edessenum, Guglielmo di Tiro) e del mondo cristiano (la pellegrina Egeria, sant’Efrem, Socrate, Sozomeno). Caduta la Contea crociata di Edessa tra il 1144 e il 1146, le reliquie dell’Apostolo furono messe in salvo e giunsero sull’isola di Chios, dove rimasero fino al 10 agosto 1258. Ancora oggi a Chios rimane una chiesa dedicata al Santo, costruita proprio sul luogo dove era quella medioevale.
Nell’estate del 1258 Manfredi di Svevia, principe di Taranto e reggente del trono di Sicilia, inviò nel Mar Egeo una flotta comandata dall’ammiraglio Filippo Chinard, inserendosi, così, nelle intricate e complesse lotte tra l’Impero latino d’Oriente e l’Impero di Nicea.
Nello scenario bellico erano coinvolte anche le città marinare di Venezia e Genova, la prima schierata dal lato dell’Impero latino, la seconda con quello di Nicea.
Tra le navi componenti la flotta comandata da Chinard c’erano pure tre galee fornite da Ortona, guidate dal navarca Leone, il quale a seguito di una scorreria ai danni dell’isola di Chios, la notte del 10 agosto riuscì a trafugare da una chiesa dell’isola il corpo dell’apostolo Tommaso, recato ad Ortona il successivo 6 settembre .
Nelle fonti più antiche, sia monumentali sia scritte, il marinaio è citato solo con il nome, al quale sono aggiunti di solito aggettivi caratterizzanti le sue doti morali, ma senza indicarvi mai alcun cognome, sicuramente perché egli non era di nobile origine (nel Manoscritto di Don Tommaso De Pizzis, 1699-1700, viene chiaramente detto che era di “ignota famiglia”).
Al suo nome, tuttavia, alcuni secoli dopo (in modo particolare dal 1858) venne aggiunto il cognome illustre di Acciaiuoli, forse a voler dare un’aura di nobiltà alla figura di colui che aveva riportato le reliquie di un Apostolo nella sua città. L’aggiunta di tale cognome non trova fondamento storico, in quanto il vero Leone Acciaiuoli, contemporaneo dell’ortonese Leone, è sepolto nella chiesa dei Santi Apostoli a Firenze ed era di parte guelfa, quindi avversaria della politica degli svevi e, di conseguenza, di Manfredi stesso. Della famiglia Acciaiuoli, inoltre, solo dall’epoca degli Angioini è documentata la presenza con traffici ed incarichi di prestigio nel Regno di Napoli, in particolare con la figura di Niccolò Acciaiuoli.
Per fugare ogni dubbio e/o confusione sull’autenticità delle reliquie, il 22 settembre 1259, per volontà dell’Università, cioè della municipalità cittadina, a Bari fu redatto un atto notarile in cui alcuni Greci, provenienti da Chios e prigionieri nel castello di quella città, affermarono che il corpo trafugato dai marinai ortonesi sulla loro isola era quello dell’apostolo Tommaso. Il documento, tipico della cancelleria di età sveva, è ancora oggi conservato presso la Biblioteca Diocesana “San Domenico” di Ortona. L’atto si rese necessario sicuramente perché il Concilio IV Lateranense del 1215 aveva posto regole ferree per il riconoscimento e l’esposizione delle reliquie.
La pergamena, delle dimensioni di 17,5 x 47,5 cm, è scritta in minuscola cancelleresca basso-medioevale e ne rivela i tipici aspetti grafici ed ortografici: prolungamenti, code, aste piuttosto slanciate, caratteri…. Contiene un atto rogato da Nicola di Benedetto, publicus notarius in Bari, con l’intervento del notaio Giovanni Pavone, quale giudice ai contratti, e in veste di semplice testimone di un altro pubblico notaio barese, Giovanni di Nicola. Gli stessi nomi si leggono anche in altri documenti del tempo. Alla sua redazione furono presenti, oltre al “giudice ai contratti” quale garante dell’autenticità dell’atto e del suo contenuto, ben quattro testimoni, data la rilevanza e l’importanza dell’atto stesso.